PROIEZIONI GENITORIALI
I genitori sono stati figli, a loro volta creati e cresciuti da genitori e così, indietro nel tempo, una mappa invisibile ma determinante si è scritta in ognuno di noi, in ogni famiglia, attraverso tutte le generazioni.
Per quanto, ad oggi, si siano sviluppati innumerevoli metodi educativi per gestire al meglio la crescita dei propri figli, nulla di duraturo ed eccellente può essere davvero realizzato, concretizzato, se un lavoro nel profondo mondo interiore, inconscio, del genitore stesso
viene affrontato.
Ricordo bene le parole di mio nonno quando mio fratello minore, a tavola, era un po’vivace: “quando ero piccolo io, ed eravamo in 9 fratelli, si mangiava in silenzio con i libri sotto le braccia per stare composti”.
Ora, con questo piccolo esempio potremmo tutti rispondere che erano altri tempi, che non ci si può rifare al passato per giudicare ciò che avviene nel presente. Ma è un altro aspetto che intendo approfondire. Cosa mio nonno faceva inconsciamente in quel momento?
Non di certo di fare una lezione di storia, ne di antropologia.
Stava semplicemente mandando un messaggio sottile, attraverso il ricordo del suo vissuto, si proiettava sul comportamento vivace di mio fratello, imponendo un giudizio negativo sulla sua attitudine e spaventandolo con il racconto dei mezzi severi usati dai suoi genitori. Possiamo subito notare che c’è una grande differenza tra l’imporre o proiettare il proprio vissuto per modificare, gestire o arginare il comportamento altrui, piuttosto che mettersi in gioco conoscendo il proprio mondo interiore, le dinamiche, le ferite e garantendo alternative vantaggiose e positive affinchè ansie, paure e conflitti non inizino a crescere dentro la vittima di queste proiezioni, perpetrandosi così di generazione in generazione, come un veleno silenzioso del quale nessuno conosce l’origine.
Eppure l’origine delle ansie, delle paure, delle insicurezze e dei fallimenti esiste!
Metodi, tecniche, giochi, strumenti, sistemi per ottenere comportamenti giudicati “funzionali”, “adeguati”, “positivi”, “meritevoli di lode e compiacimento” sono solo una minuscola porzione, peraltro superficiale, di ciò che in realtà avviene quando si crescono i figli.
1. SPECCHIO
Quando nasce un bimbo, nelle profondità del suo essere esiste una grande, indiscutibile forza motrice: la sopravvivenza. Dopo essere stato protetto dall’incredibile corpo di mamma, ora si confronta con il mondo, la sua immensità. Cosa fa dunque un piccolo essere umano, come d’altronde fanno anche gli animali, per garantirsi la sopravvivenza?
Imita, riproduce risposte comportamentali, atteggiamenti, azioni. Si sviluppa così il teatro nel quale il figlio va incontro, attraverso atteggiamenti seduttivi, di conquista e controllo, il mondo interiore del genitore, garantendosi coì sicurezza e risposte ai propri bisogni. Come potrebbe valutare o prendere in considerazione se tale risposta sia giusta o sbagliata, saggia o meno, ragionata o istintiva? Un piccolo umano può solo sentire dentro di se una cosa: se ciò che sta facendo è vantaggioso per la propria sopravvivenza. I bambini sono specchi nei quali i genitori si riflettono, in modo più o meno consapevole.
Lo specchio dove il genitore, o meglio il suo inconscio, si riflette, creando una storia che in realtà non appartiene al figlio, bensì a se stesso. Vediamo quindi genitori che non si capacitano di come il proprio figlio si possa comportare in una determinata maniera, di come abbia
difficoltà con una specifica materia scolastica, del perchè non riesca a portare a termine ciò che inizia o della paura del buio, la mancata autostima verso il proprio corpo…la lista potrebbe essere, ed è, infinita.
Un figlio si riflette nella storia del genitore, prende per vero e indiscutibile ciò che gli viene dato come nutrimento esistenziale: il bagaglio che il genitore ha costruito nel tempo, soprattutto nel tempo in cui era figlio.
Questa è la creazione dell’Io primario, la prima fase dello sviluppo di una parte di se, dove, per forza di cose, da piccini siamo immersi in un volere che non è nostro, essendo a quell’età non ancora autosufficienti, e poichè dobbiamo sopravvivere si era costretti a seguire comunque le loro indicazioni.
Così, se un genitore da piccolo ha sofferto molto per un maestro di matematica particolarmente severo ed esigente, se ricorda e vive ancora con tristezza i brutti voti che doveva portare a casa, in quanto lui i calcoli e la geometria proprio non li capiva, sarà piuttosto naturale il riversare la propria frustrazione nei confronti dell’insegnante del proprio figlio, verso il quale inizierà a esprimere opinioni, perchè ora è grande e quindi può permetterselo. Questo accade se un adulto-genitore non è consapevole e non ha rimodellato a suo vantaggio, per la sua realizzazione, l’emozione provata da piccolo nei confronti della matematica.
Inevitabilmente il figlio interiorizzerà insofferenza e difficoltà nei confronti della matematica, astio o timore nei confronti del maestro. Si sentirà in “diritto” di non eccellere in quella materia, giustificandosi proprio grazie alla proiezione genitoriale che lo farà sentire
adeguato alla figura paterna o materna che ha vissuto la stessa sofferenza in passato.
Inizia così la proiezione della propria ferita sul figlio-specchio, ciò che ha vissuto in prima persona e che è rimasto impresso nelle profondità della sua anima che triste ricorda i momenti dove si è sentito meno bravo degli altri, dove ha pensato che lui non sarebbe stato in grado. Come mai questo? Come mai si sentiva così, come mai questa sofferenza.
Perchè a sua volta, quel genitore che era un figlio, non ha ricevuto quella forza, quell’amore stabile e sicuro, generoso e limpido, che permette a un figlio di affrontare le sfide della vita senza mai cadere trappola del vissuto altrui.
Senza mai perdere l’occasione di spiccare il volo tanto, in ogni caso, qualcuno li sotto a prenderlo ci sarebbe sempre stato.
2. SPUGNA
Davanti a una nuova esperienza, la prima emozione espressa (o inespressa, ricordiamo che i figli hanno la chiave per il mondo interiore del proprio genitore, nulla può sfuggire, non un gesto, o tono di voce), il primo commento fatto, l’aggettivo usato dal genitore diventa la chiave di lettura per il figlio.
In casa va via la luce, non si vede nulla. La mamma, che stava preparando il pranzo per suo figlio, con tono spaventato, si esprime davanti a lui con un: “Oh no, il buio, non ci vedo niente, che disastro come faccio adesso”. In un lampo ci si ritrova nel film che racconta le paure della mamma, delle esperienze da lei vissute con il buio. Forse l’essere rimasta chiusa in una stanza da sola quando la corrente all’improvviso è mancata? Il ricordo della nonna che diceva di non andare in cantina perchè era scuro e ci si poteva far male? Poco importa il fenomeno in se, ciò che rimane scritto è l’emozione provata, la paura, mai elaborata, mai esaminata e superata. Sarà quindi piuttosto immediato il riversamento della paura materna nei confronti del buio, sul figlio, che del buio non sa nulla, se non ciò che la mamma gli ha appena “raccontato” e trasmesso attraverso una reazione.
Se una papà vive ancora in modo vivido i rimproveri avuti dal proprio padre ritenuto da esso non abbastanza coraggioso, veloce, oppure in quanto non arrivava primo alle gare di sport, oppure anche rimproveri essendo lui restio a voleva stare da solo, perchè preferiva leggere al giocare a calcio…ecco che lo stesso comportamento subito da piccolo, la ferita del sentirsi sbagliato e non adatto per essere amato, si riproporrà nelle dinamiche con il figlio, che verrà giudicato debole, troppo timido, esageratamente sensibile. E cosa farà il figlio? Andrà incontro all’aspettativa inconscia costruita nella proiezione genitoriale.
Il bambino si chiuderà in se stesso temendo il giudizio del padre, vivendolo come figura autoritaria davanti alla quale non si può sbagliare.
E la storia si ripete, come detto, di generazione in generazione. Rafforzando le dinamiche non elaborate, infittendo ancor più il mistero del “figlio sbagliato”.
Il bambino assorbe continuamente dal genitore, assorbe e trattiene in se ogni goccia, che riempie lo scrigno dell’anima di un bagaglio che non si dimostrerà efficace per lo propria evoluzione.
Al contrario, se un genitore è consapevole delle emozioni, come la paura, che un determinato fenomeno potrebbe far nascere nel figlio, l’atteggiamento sarebbe inevitabilmente differente. Un altro esempio: fuori c’è un forte temporale, lampi, tuoni, vento e pioggia rumorosa si fanno sentire a gran voce.
Il bambino spaventato si avvicina al genitore affermando di avere paura. Il genitore, abbracciando il piccolo, con voce amabile e sicura può rassicurarlo e validare la paura che prova dicendo: “si, sento che sei spaventato, c’è proprio una brutta tempesta la fuori, ma sei al sicuro, ci sono io qui con te, ti proteggo e nulla di male può accaderti”. Con queste parole il bambino sente di essere accettato e compreso.
Non si sentirà sbagliato nel provare paura per il frastuono di quel temporale e, allo stesso tempo, si sentirà al sicuro poichè l’adulto è in grado di gestire la situazione e di restare lucido, di essere presente. Cosa avviene invece se mentre si prova paura, la persona che dovrebbe essere in grado di darci forza e amore ci dicesse: “perchè piangi, non vedi che è solo un temporale!
Non c’è bisogno di aver paura!”. In questo caso
viene interiorizzata la convinzione dell’essere sbagliati e soprattutto, di non avere nessuno in grado di proteggerci e guidarci nel superamento di emozioni dolorose.
3. CRISTALLO
“Tutto il funzionamento della nostra mente, si attua attraverso il processo di cristallizzazione emozionale. Gli episodi che accadono nella nostra vita, generano emozioni e stati emotivi che sono in grado di cristallizzarsi nella nostra memoria, ed è chiaro come a lungo andare
le esperienze negative e positive che ci accadono, producono la nostra Forma Mentis, quello che siamo, il nostro coraggio e le nostre paure, quello che possiamo osare nella vita e il tipo di relazioni che avremo”(L’Ascolto dell’inconscio che guarisce, Giorgio Del Sole).
Il processo di cristallizzazione emozionale sta alla base dell’espressione esistenziale, come se si trattasse di un marchio impresso nel nostro profondo, che ci guida ad occhi bendati lungo il percorso di vita.
Quella paura provata a sette, dieci, dodici anni, quella paura mai affrontata, compresa e accolta, si ripropone con grande eco nella vita adulta; limitando, mettendo in difficoltà, portando all’evitamento di esperienze giudicate potenzialmente pericolose.
Ed ecco il volar basso, il restare attaccati al costrutto dell’Io primario, quello che ci si è incollato addosso durante l’infanzia, negli anni dove la nostra anima e la nostra mente sono state pagine bianche in attesa di una storia. Le proiezioni genitoriali inconsce, quelle emozioni che non erano nostre, quelle paure assimilate rimaste a decantare in noi così a lungo, assumono il ruolo di unico giudice delle esperienze future, le lenti con il quale osservare e vivere il mondo.
Il bambino che ha visto le sue lacrime cadere nel vuoto crescerà convinto di non aver diritto ad essere confortato, accolto tra braccia forti. Per forza di cose questo porterà a dirigersi verso relazioni con persone ugualmente incapaci di prendersi cura di noi, relazioni dove l’abbandono è la risposta alla difficoltà o un lavoro che ci tiene in basso, senza prospettive di avanzamento e realizzazione personale.
La mente dell’adulto fermo in uno o più momenti critici della propria infanzia, del proprio passato, si presenta come un solidissimo cristallo, dove tutto è bloccato, tutto si ripete nel tempo e nello spazio, nelle relazioni, nelle esperienze e nelle sfide che si decide o meno di
intraprendere nella vita.
È possibile uscire dalla spirale che ci limita, che ci tiene fermi al passato impedendoci di liberarci di paure, ansie e limiti che non ci appartengono?
Lo è, la mente che si manifesta come la peggior gabbia che rinchiude e inghiottisce tutto, che trattiene e impedisce di spiccare il volo, verso un’esistenza eccellente, ricca di esperienze e obiettivi raggiunti, può essere letta, investigata, compresa. Accedendo alle costruzioni, alle gabbie mentali che imprigionano l’individuo, è possibile sperimentare il rimodellamento emozionale, che ci libera dalle catene, che ci fa scoprire il nostro vero potenziale, che ci fa desiderare di volare sempre più alto, anche affrontando il dolore nello scoprire le proprie ferite profonde.
Una volta che le ferite giungono alla luce e sono curate, nulla può impedire ad una persona di divenire la miglior versione di se stessa. Di brillare di luce propria, erigendo il proprio castello dove l’unica cosa che somiglia al solido cristallo carceriere è il luccichio e la lucidità di un’esistenza piena, in azione, in continua evoluzione.