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La Costruzione Interiore

Il mondo interiore come si struttura?

Quando collochiamo noi stessi in una visione dove non c’è spazio per ulteriori evoluzioni, con un modo di pensarsi rigido ed un esistere statico, di fatto abbiamo una visione limitata di cosa siamo e di cosa potremmo diventare.

Quando si nasce siamo una costruzione fisica ed in parte psichica di due genitori, che a loro volta sono portatori del sistema di regole e valori nel quali sono stati immersi socialmente.

Per i primi 10 anni di vita noi siamo soprattutto questo, una entità psicofisica costruita da altre persone, gradualmente poi man mano che l’io prende spessore  incominciamo autonomamente ad innestarvi sopra le nostre esperienze di vita, i pensieri conseguenti e le contaminazioni relazionali e sociali che assorbiamo.

Tuttavia l’Io bambino, riflesso della costruzione genitoriale, in alcune persone rimane la struttura psichica più rilevante, questo accade quando la nevrosi genitoriale o la psicosi collettiva sociale, nel quale la persona si trova a vivere è particolarmente marcata.

Quando questo capita, si è più sensibili alle pulsioni inconsce infantili portatrici di paure, blocchi e comportamenti inadatti a far evolvere la persona ad uno stato più adulto, con l’acquisizione permanente del potere decisionale ed esperienziale di cui l’adulto libero può vantare e godere.

Si è di fatto più esposti al fallimento personale che può abbracciare sia il mondo relazionale che professionale, in quanto la visione di se è parziale e distorta, si è giganti con le gambe di un bambino.

  1. SPECCHIO DELL’IO

Quando nasce un bimbo, nelle profondità del suo essere esiste una grande, indiscutibile forza motrice: la sopravvivenza. Dopo essere stato protetto dall’incredibile corpo di mamma, ora si confronta con il mondo, la sua immensità. Cosa fa dunque un piccolo essere umano, come d’altronde fanno anche gli animali, per garantirsi la sopravvivenza? Imita, riproduce risposte comportamentali, atteggiamenti, azioni.

Si sviluppa così il teatro nel quale il figlio va incontro, attraverso atteggiamenti seduttivi, di conquista e controllo, il mondo interiore del genitore, garantendosi coì sicurezza e risposte ai propri bisogni. Come potrebbe valutare o prendere in considerazione se tale risposta sia giusta o sbagliata, saggia o meno, ragionata o istintiva? Un piccolo umano può solo sentire dentro di se una cosa: se ciò che sta facendo è vantaggioso per la propria sopravvivenza. I bambini sono specchi nei quali i genitori si riflettono, in modo più o meno consapevole.

Lo specchio dove il genitore, o meglio il suo inconscio, si riflette, creando una storia che in realtà non appartiene al figlio, bensì a se stesso. Vediamo quindi genitori che non si capacitano di come il proprio figlio si possa comportare in una determinata maniera, di come abbia difficoltà con una specifica materia scolastica, del perché non riesca a portare a termine ciò che inizia o della paura del buio, la mancata autostima verso il proprio corpo…la lista potrebbe essere, ed è, infinita.

Un figlio si riflette nella storia del genitore, prende per vero e indiscutibile ciò che gli viene dato come nutrimento esistenziale: il bagaglio che il genitore ha costruito nel tempo, soprattutto nel tempo in cui era figlio.

Questa è la creazione dell’Io primario, la prima fase dello sviluppo di una parte di se, dove, per forza di cose, da piccini siamo immersi in un volere che non è nostro, essendo a quell’età non ancora autosufficienti, e poiché dobbiamo sopravvivere si era costretti a seguire comunque le loro indicazioni.

Così, se un genitore da piccolo ha sofferto molto per un maestro di matematica particolarmente severo ed esigente, se ricorda e vive ancora con tristezza i brutti voti che doveva portare a casa, in quanto lui i calcoli e la geometria proprio non li capiva, sarà piuttosto naturale il riversare la propria frustrazione nei confronti dell’insegnante del proprio figlio, verso il quale inizierà a esprimere opinioni, perché ora è grande e quindi può permetterselo.

Questo accade se un adulto-genitore non è consapevole e non ha rimodellato a suo vantaggio, per la sua realizzazione, l’emozione provata da piccolo nei confronti della matematica.
Inevitabilmente il figlio interiorizzerà insofferenza e difficoltà nei confronti della matematica, astio o timore nei confronti del maestro. Si sentirà in “diritto” di non eccellere in quella materia, giustificandosi proprio grazie alla proiezione genitoriale che lo farà sentire
adeguato alla figura paterna o materna che ha vissuto la stessa sofferenza in passato.

Inizia così la proiezione della propria ferita sul figlio-specchio, ciò che ha vissuto in prima persona e che è rimasto impresso nelle profondità della sua anima che triste ricorda i momenti dove si è sentito meno bravo degli altri, dove ha pensato che lui non sarebbe stato in grado.

L’Io nelle persone immature

Questa distorsione nel vedersi è causata dal fatto che si ha dentro una dimensione psichica contemporaneamente di un bambino di 7 anni e di una persona adulta di 40, che porta ad atteggiamenti esterni contrapposti e dominati da esigenze spesso irrazionali, ad esempio; come si fa a prendere in braccio una donna come un uomo adulto se nel contempo si vuole essere presi in braccio come un bambino?

Attenzione a non confondere questo con il recupero del bambino interiore, perché qui si sta parlando delle nevrosi, delle insicurezze tipiche di quegli anni tempestosi, attraversati da conflitti edipici e sobbalzi caratteriali.

Se da un lato bisogna riscoprire ed accettare questo “bambino” dall’altro lo si deve accompagnare alla età attuale, farlo crescere, altrimenti, sarà lui a dominare l’adulto.

Occorre quindi iniziare una nuova costruzione dell’io sopra quella base esistenziale portata più o meno a termine dai propri genitori e dalle strutture sociali, come la scuola e le comunità sociali.

Un nuovo io che parta da ciò che si è, per portarsi come un ponte all’altra parte della sponda di fiume; fiume che marca come un confine la divisione tra ciò che eravamo ieri, da cosa siamo e vogliamo essere oggi, ma soprattutto permetta di seguire quel desiderio rinnovato proiettato di se stessi verso il futuro desiderato.

La nuova versione di se, un “Io” frutto della propria personale costruzione, contenuto in nuove regole personali, un nuovo senso del bene e del male, al di là dei valori costituenti la nostra origine genitoriale, conservando di essa solo le parti funzionali alla nuova struttura esistenziale.

Per poterlo fare occorre rompere l’incantesimo che non permette di staccarsi da se quel tanto da potersi vedere davvero, bisogna riaccendere la curiosità su come si potrebbe realizzare l’idea di una vita migliore, nella quale far continuare a vivere se stessi.

Chi non merita di rinascere?

Che vita è questa se è il risultato dell’interpretazione cieca di una vecchia fotocopia genitoriale frutto dei loro desideri nel loro tempo?

 

 

 

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