La paura di essere felici cosa è?
E’ un sentimento inconscio radicato all’interno del nostro io ma che dobbiamo gestire e rendere innocuo per assicurare il nostro benessere psicologico.
Il timore della felicità rappresenta uno dei tanti modi per volersi male! Esiste un “bisogno” inconscio di soffrire che non viene percepito a livello cosciente, rimanendo del tutto estraneo alla coscienza. Esso infatti si manifesta con una motivazione così potente da determinare fallimenti attraverso auto-sabotaggi, e facendo sì che vi agiscano comportamenti distruttivi, dovuti a pensieri che porteranno ad una qualità di vita mortificante, ben al di sotto della soglia minima di felicità e soddisfazione, che in teoria si potrebbe aspirare ad avere in base alle proprie qualità e talenti.
La dimensione della sofferenza interiore conseguente nasce perché esiste troppa differenza tra la vita insoddisfacente che si ha, come conseguenza di innumerevoli atti mancati, e quella che si potrebbe avere se dentro se stessi non ci fossero ferite a livello inconscio così importanti da causare tali proiezioni.
Si viene ad instaurare una vera e propria Fobia della felicità, nella quale si mette in atto inconsapevolmente tutta una serie di azioni e pensieri, che fanno sì che essa diventi irraggiungibile a causa di questo bisogno inconscio di soffrire.
Infelicità: Un disturbo inconsapevole dai risvolti complessi
La paura di essere felici si fa strada nella mente attraverso una visione distorta, e corrisponde quindi ad un’interazione non reale con il mondo e con la vita, facendoci alienare in un tipo di vita doloroso e infelice, corrispondente ad un bisogno inconscio di soffrire, mortificarsi, punirsi, espiare. Tutto questo con il rischio di arrivare in alcuni casi ad una vera e propria paura di stare bene.
Nessuno “vuole” star male o vuole arrivare ad un insuccesso sia professionale che affettivo, ma spesso chi ha questa dinamica non riconosce di stare per farcela a raggiungere ciò che desiderava e che in realtà le cose non vanno poi così male, pur essendo migliorabili come ogni cosa della vita. Ciò avviene perché, chi ha un imprinting mentale con questa modalità, è ingabbiato in una dinamica masochistica, che lo porta inconsciamente al bisogno di continuare a star male e farsi inconsciamente del male.
Questa necessità non è mai quasi esplicitata essendo inconscia. Anzi si cerca in buona fede di darsi da fare, di stare meglio, ma di fatto si posticipa sempre la felicità a qualcosa da raggiungere che ancora manca, e si nega di stare bene anche quando la vita è nettamente migliore rispetto a prima, grazie ai tanti sforzi per arrivare sin qui, arrivando addirittura ad avvertire un repentino peggioramento delle sue condizioni emotive quando si rende conto di stare bene.
Un disagio esistenziale autoinflitto
Non è raro in questi casi, che la possibilità di stare meglio affettivamente o magari economicamente, che talora si realizza inconsapevolmente, dura finché la persona non se ne rende conto. E non appena ciò avviene, spesso con sorpresa, la conseguenza è repentinamente il ripresentarsi di un disagio esistenziale che lo porta al punto di inizio, magari con un altro lavoro, un partner diverso o con difficoltà economiche.
La paura di essere felici si concretizza con innumerevoli atti mancati, atteggiamenti e azioni:
- in alcuni casi ad esempio viene meno la voglia di uscire di casa per costruire la propria vita relazionale ed economica;
- in altri si perdono chiavi dell’auto, smartphone, portafogli e mille altri oggetti necessari;
- in diversi casi con incidenti di diversa natura sia domestici che con i vari mezzi di locomozione.
Chi ha tale paura vede il mondo intorno a se ostile, in modo da avere l’alibi della conseguente chiusura in se stessi, cosa che inevitabilmente mette in crisi relazioni e possibilità economiche.
Inizia inevitabilmente una l’alternanza di periodi di relativo benessere e di malessere, la cui ciclicità evidente fa sì che il benessere venga considerato come una transitoria illusione, rispetto al malessere che definisce lo stato proprio in cui si è destinati a vivere. E così pensando la condanna a soffrire è inconsciamente accettata, quando non addirittura ritenuta giusta mentre lo stare bene diventa inusuale, quasi inopportuno.
Quando fuori c’è il sole, impara a goderne, non temere che arrivino le nubi!
Il desiderio inconscio di stare male si origina anche da una modalità che si è imparato da bambini, ossia che quando si stava male i genitori erano più vicini e affettivamente presenti. E se da un lato quindi lo stare male oggi è anche una richiesta affettiva, dall’altro diventa anche una punizione per uno o entrambi i genitori. Come dire: sono arrabbiato/a con voi e vi faccio soffrire stando male. Questo perché il bambino scopre ad un certo punto che quando sta male i genitori hanno paura e soffrono.
Lo stare male rappresenta comunque una sublimazione di una rabbia esistente conseguente ad una ferita interiore causata in età infantile, rabbia che nel cercare di trasferire all’altro, di fatto fa sì che si finisca per colpire se stessi, perché a star male si è poi da soli, come di fatto ci si sentiva da bambini: Soli!
Vogliamo colpire l’altro colpendo noi tessi!
Nella misura in cui lo stare male contrasta con il bisogno di felicità, esso è sempre rifiutato in nome del desiderio di soffrire di meno e di “essere felici”. A questo rifiuto cosciente corrisponde spesso però un bisogno assolutamente opposto inconscio di soffrire, che di fatto, viene intuitivamente accettato da chi ne è ingabbiato, che si viene a comportare come se lo ritenesse, se non giusto, inevitabile.
Importante è anche il clima di colpa e di conseguente bisogno di espiazione che accompagna spesso la fobia della felicità, collegato al concetto che già descrissi nell’articolo https://www.giorgiodelsole.it/mondo-interiore/la-dispersione-dellio/ , nel quale un bambino ferito da un genitore non può pensare a causa del suo io immaturo che il proprio creatore lo ferisca, e quindi è portato a giustificare l’essere stato ferito, come conseguenza di una sua colpa. Una colpa che pertanto comporterà una punizione ed una sofferenza creando un imprinting negativo per tutta la vita.
Come risolvere questa situazione
Passiamo ora alle soluzioni per superare questa difficile condizione.
Non accettare neppure un giorno nel quale tu non ti voglia bene e non ami qualcosa!
Occorrono anni per cambiare questo imprinting mentale, perché la mente si è strutturata per funzionare così ed ha creato tutta una serie di alibi, pensieri e azioni atte a confermare tale modalità.
Occorre agire su due aspetti, uno è quello di illuminare sempre più tali comportamenti fino a farli divenire sempre più consapevoli, portando l’altro ad una assoluta chiarezza della ciclicità che mette in atto, della assoluta irrealtà della sua visione della vita, distruggere l’idea ingabbiante che esso sia legato per sempre ad un destino mediocre e sofferente, perché è solo lui a crearlo così e non esiste nessun fato avverso o sfortuna.
Occorre portarlo a fiutare ogni goccia d’amore possibile sia per se stesso che per ogni cosa intorno a lui e contemporaneamente lavorare sull’empatia, sulla rabbia ed il senso di colpa, convertendo questi in amore, prima per se, poi per il tutto che ci circonda, con la costruzione di un nuovo se guarito dal proprio male di vivere con il quale abbracciare gli altri.
Impara a prendere le cose, tieni stretto a te le cose e qualcuno da poter amare!
È una voragine affettiva ciò che in lui ha creato tutto questo ed è con copiose quantità d’amore che la dovrà colmare, ma non in un atteggiamento egoistico, ma bensì donandosi agli altri, farsi prendere dalla vita e da chi lo desidera perché lo ritiene giusto per essere amato.
Fargli capire che se vive in un deserto è solo perché lui o lei rifugge l’abbondanza affettiva, e che se riuscisse a prenderla vivrebbe invece in un giardino fiorito e fertile.
Infine avere uno o più punti fermi, imparare ad affidarsi e fidarsi, perché è importante essere giusti per qualcuno che è disposto per questo a volerti bene, sentire ciò dentro se stessi sempre di più rappresenta la possibilità concreta che si riesca a vincere questa difficile battaglia con se stessi ed il proprio passato.
Diventa un cacciatore d’amore, impara ad appartenere a qualcuno!
Ogni esistenza, ogni nascita, ogni evoluzione è proprio il contributo del singolo essere o sistema alla sussistenza dell’entità chiamata vita!
Non di meno noi esseri umani assolviamo a tale compito attraverso la nostra riproduzione materiale, il nostro mangiare e capacità di costruire, contribuendo alla sussistenza ed evoluzione della vita, sino all’ultimo atto, la nostra morte, con la quale la vita libera il posto per un’altra persona, che sarà più forte e con maggiore conoscenza, poiché potrà beneficiare del lavoro fatto da chi prima di lui ha agito nel mondo, e potrà assolvere al compito ancestrale di facilitatore di vita, ancor meglio, avendo forze nuove.
Questo non vale solo per la dimensione fisica e materialistica ma, ancor di più, per quella interiore e spirituale, in quanto è proprio nella visione interiore-spirituale che avviene il contatto profondo tra noi e il senso della vita.
L’evoluzione interiore personale è quindi un importante collante tra il perché si esiste e l’evoluzione della vita, un ponte che genera per se stesso senso.
È la parte interiore che ci chiede di porci una domanda fondamentale, ossia: Quale senso debbo dare alla mia esistenza affinché io sia funzionale alla vita?
Quando incorriamo in un ostacolo oppure una sofferenza, dovremmo altresì chiederci:
Cosa mi sta chiedendo di fare la vita in questo momento, quali azioni mi induce a compiere affinché io possa trarre da questa esperienza un’evoluzione per me e quindi per Lei?
Ciò impone uno spostamento fondamentale dalla visione sterile del “solo per noi stessi” a quella arricchente del “partecipe e unificante al tutto intorno a noi”.
Dunque, è errato porsi come motivo di esistenza la sola funzione di predatori di cose, di inseguitori di qualcosa da prendere o raggiungere, fosse anche solo la felicità a tutti i costi.
Io dalla vita vorrei avere successo oppure vorrei trovare la felicità e spero di incontrare questo o quello. Queste affermazioni in realtà allontanano dal sentirsi parte del tutto, perché si è concentrati e diretti come motivazione esistenziale solo su se stessi e si vive per appagare quanti più desideri possibili e basta.
Viene a mancare il vero senso del perché esistiamo ma, soprattutto, non siamo più funzionali alla vita e quindi la vita stessa farà sì che a noi giunga poco o nulla, e questi propositi narcisisti rimarranno solo chimere desiderate.
Sono moltissime le persone che a causa di questa visione errata del perché esistere sono cadute in un vuoto profondo, un vuoto nel quale trascorrono tutta la loro vita.
Questi non hanno più un’evoluzione da compiere, una motivazione profonda per esistere, e allora sfociano nella depressione esistenziale.
Dal non essere più si scivola al non esistere e, peggio ancora, al non sapere neanche più di dover essere e diventare qualcosa di unico e irripetibile, sia per sé che per la vita stessa. Così si diventa preda dell’omologazione sociale o manovalanza ignara che per pochi spicci sarà al servizio di chi uno scopo, seppur sinistro, lo ha.
Nella visione unica di se stessi, ci si trova sempre più sprofondati nel guardare le proprie paure e parti negative, dimenticandosi che, invece, guardando fuori da se stessi si può incontrare il nuovo attraverso una conoscenza più ampia oppure una nuova persona con la quale creare un legame affettivo arricchente.
Dentro di sé si originano le paure e i disagi, allora essi svaniscono se si guarda fuori da sé!
Guardare in alto, fuori da sé e verso l’evoluzione della vita è l’atto creativo più rivoluzionario che un individuo possa mai fare in un contesto sociale come l’attuale, preda del nichilismo e del consumismo più sfrenato.
Affermare quindi:
Io esisto per essere funzionale alla vita!
Io voglio essere felice donando felicità a mia volta!
Ribadirsi come perché esistenziale: Vorrei essere ricco di possibilità e conoscenza per arricchire di me il mondo e dare ricchezza materiale ed interiore a chi incontrerò; questo atteggiamento ci colloca nel pieno dell’evoluzione della vita, in un fluire carico di senso che ci predispone tra i migliori alleati della vita stessa, e sarà questo a fornirci quanta più energia e senso possibile affinché possiamo continuare ancor meglio il nostro esistere in quanto utilissimi alla vita.
Andare verso l’altro, guardare oltre sé, è un esercizio che promuove la propria spiritualità, direzionandola verso un fine costruttivo e non meramente idealizzato. Proporsi nell’esistere come unicità che condivide un fine evoluzionistico con un sistema di vita infinitamente ampio è un cardine esistenziale solido sul quale fondare la propria esistenza.