Salviamo Biancaneve

La fiaba di Biancaneve di cosa parla

Racconta di una infanzia tradita e di una adolescenza negata a causa di una nevrosi materna che invece di immettere nella vita ciò che ha creato, fa sì che il suo frutto non ricada troppo distante da essa.

Troppo poco si parla del narcisismo delle madri, nonostante causi così tanti danni a figlie che subiranno da loro la castrazione del femminile al fine di farle rimanere mentalmente sottomesse.

Questa fiaba, racconta delle sofferenze che le figlie patiscono, delle umiliazioni profonde che le segneranno nell’anima causate dalla gelosia materna, e che se non riusciranno a nuotarvi contro ed uscire dall’utero mentale materno che le tiene prigioniere, ne saranno fagocitate spingendole ad annullarsi nella vita.

La fiaba di Biancaneve infatti espone il tema della gelosia e dell’invidia che la madre ha nei confronti della figlia che cresce. Nello scorrere della sua trama, questa fiaba indica soluzioni creative e aiuta a credere che attraverso il coraggio, il distacco, la lotta e l’amore si possa diventare se stessi e crescere in maniera autentica, liberi dalla madre interiore castrante.

Il rapporto madre-figlia

In Biancaneve si affronta il tema dell’adolescente abbandonata, racconta di tutte bambine che devono compiere il passaggio da adolescenti a donne passando attraverso un femminile materno, che rifiuta la loro affermazione femminile iniziano comportamenti castranti e violenti contro di loro.

La madre che tollera l’esistenza di una figura che compete con lei nella conquista del padre,  che sembra essere “sufficientemente buona” fino agli anni dell’adolescenza, cioè fino al momento in cui la figlia non inizia a sviluppare la sua femminilità.

L’inizio la fiaba mette l’accento sul momento in cui la ragazza inizia a mostrare la propria bellezza e quindi anche la propria sessualità: “C’era una volta una bella principessa che aveva i capelli neri come l’ebano, la bocca rossa come una rosa e la carnagione bianca come la neve”.

Inizia così per l’adolescente l’apparizione della capacità di seduzione finalizzata alla conquista sessuale e all’espressione della femminilità e del piacere. E’ evidente che fino a quando la bambina resta tale e non si sviluppa nelle sue potenzialità adulte, rimane fortemente dipendente e non costituisce nessun pericolo per il narcisismo della madre: “Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? Sei tu la più bella del reame, rispose lo specchio.”

Quando però la figlia inizia a staccarsi ed a esprimere la sua personalità la madre si sente minacciata perché sente che può perdere il possesso del suo uomo ed esce fuori la parte di sé matrigna.

“Specchio specchio delle mie brame, Chi e’ la più cattiva del reame?

Chi è la matrigna

La matrigna si trova a svolgere le funzioni e i compiti materni, ma non è altro che un aspetto della stessa madre verso la quale si nutre amore.

La matrigna appare come una figura separata dalla madre, ma in realtà non è altro che il lato oscuro della propria madre che porta in se comportamenti annientanti rivolti scientemente verso il frutto stesso da lei creato.

Nell’esempio trattato, la matrigna di Biancaneve è quella che le dà la mela avvelenata: il nutrimento-veleno non è che il lato oscuro e abissale del materno, un latte avvelenato ricevuto dalla madre che invece di far crescere, le sopirà per sempre.

La matrigna è perciò fin da subito una rivale, presentata come una donna fondamentalmente narcisista ed egoista che non vuole lasciare spazio alla figlia “ereditata” dal proprio uomo.

Soprattutto non vuole lasciarle lo spazio perché possa esprimere la sua femminilità, vuole mantenere lo scettro, vuole occupare l’intera scena. Vuole essere l’unica donna.

La madre matrigna ha come vestito una apparente debolezza, per piegare la figlia con i sensi di colpa ed annebbiarne la lucidità, raccontandole magari che un tempo soffri molto, oppure che la sua età preannuncia avanza e con essa la sua inevitabile fine, o magari ancora che egli è causa delle sue sofferenze se non la ascolta.

 

Le fiabe da sempre hanno raccontato queste tematiche a dimostrazione che queste dinamiche psicologiche erano molto chiare sin dall’antichità; in effetti si tratta di sentimenti che pur creando grandi disagi e grandi sofferenze spingono comunque la persona a crescere e a diventare adulta.

Proprio nella relazione ambivalente che si crea tra la madre e la figlia adolescente, fa sì che quest’ultima senta maggiormente il bisogno di distaccarsi e di esprimere l’aggressività, che rimane l’aspetto fondamentale per potersi staccare dalla simbiosi con la madre, indirizzando le energie altrove alla ricerca di un proprio percorso di crescita individuale.

Sia l’uomo che la donna vengono spinti da un maschile che è in loro ad abbandonare il rapporto originario e a cercare la via verso l’Io e la coscienza.

Ed ecco infatti che nella fiaba arriva il concetto del principe, di colui che con il suo amore vero, può rompere l’incantesimo e riportare in vita Biancaneve prigioniera nella bara-utero materno.

Biancaneve prendendo il principe, reclama il suo diritto a diventare lei la regina, reagisce tirando fuori le sue armi sessuali e seduttive, per prendersi finalmente il padre-principe strappando il ruolo di prima regina alla madre.

Arriva sempre il momento in cui la figlia non si specchia più nello sguardo della madre e ha necessità di reperire altre identificazioni. È proprio allora che comincia le sue vicissitudini di donna e forse non è un caso che solo a partire da quel momento vede nella propria madre anche il volto di una matrigna, cioè di una madre che non corrisponde all’ideale che aveva costruito da bambina.

Ciò che poco prima era ricoperto dalla funzione dell’ideale e ispirava la tenerezza, l’attaccamento, d’un tratto le parole della madre assumono per la figlia un suono insopportabile. Che la madre sia sempre un po’ matrigna lo dice proprio il forte legame di ambivalenza madre-figlia: “catastrofe” la definiva Freud, devastazione, rimproveri, la faccia della matrigna fa sempre capolino dietro quella della madre per rinforzare il fatto che l’ambivalenza fa parte dei legami femminili.

Se la donna instaura una sana distanza tra lei e la madre, si realizza anche nell’incontro col desiderio dell’uomo, quindi col desiderio sessuato libero di essere agito liberamente ed orgasmicamente, cosa vietata invece dalla madre matrigna.

Il desiderio sessuato libera quegli aspetti del femminile che rimangono selvaggi, perché la donna vi sfugge in quanto la sua natura è castrata dallo strapotere materno, a lei non è concesso di provare piacere per nessun principe azzurro, figuriamo provare un orgasmo.

È nella distanza e nell’assenza che l’amore per la madre si può trasformare in amore per se stessi e beneficiarne. Solo perdendo la madre la puoi ricostruire in un modello sanificato in te.

Il rapporto figlia-madre

Biancaneve attraverso il rapporto con la natura ci illustra che: la funzione di dipendenza non è quella della madre che è limitata ma quella della natura. La natura è gratuita non chiede nulla in cambio genera la vita e ciclo vitale, è la generosità senza limiti.

La madre in quanto essere umano porta in sé molti limiti ma invece di esserne consapevole usa il suo ruolo per vendicarsi: “io ti ho fatto io ti distruggo, maledetto il giorno in cui sei nata, come ti ho dato così ti tolgo, quello che ho fatto per te, come ti amo io non ti ama nessuno …”

La funzione di dipendenza è un principio vitale dell’essere umano e come tale va mantenuto, l’aspetto distorto che una dipendenza può creare va però tenuto presente.

Nel rapporto madre-figlia il rapporto di dipendenza che si può instaurare non è sempre fruttuoso.

Biancaneve viene abbandonata nel bosco, il bosco simboleggia i pericoli dell’inconscio e delle pulsioni sessuali che la ragazza sente premere dall’esterno, ma grazie a questo abbandono, a questo dolore che non viene visto come un nemico della vita ma che addirittura diventa una risorsa potente, senza la quale non si può andare verso la trasformazione liberandosi alla trasgressione degli istinti.

Il bosco è anche la natura, la vita, l’alternativa alla matrigna che vuole catturare Biancaneve: meglio entrare nei meandri della natura, della vita, delle profondità e rischiare di diventare adulti o rimanere legati ai rapporti con la famiglia di origine, dove molto spesso il legame è a doppio nodo?

La figlia se non instaura attraverso la madre e le figure femminili di riferimento un femminile armonico cresce con una scissione interna della propria sessualità: o santa o puttana.  Il sesso diviso in due opposti o nella subordinazione all’obbedienza del maschio o la sessualità finalizzata a un marketing.

Freud ha cercato di definire, attraverso il concetto di genitalità un rapporto d’amore laico che appianasse il dislivello tra queste due modalità, partendo dalla relazione più arcaica del bambino con la madre e dalla contrapposizione.

Causa dei conflitti interiori dell’uomo adulto sembrava infatti essere l’incapacità di mettere insieme l’immagine della donna ideale e della prostituta.

Osserva Jung: «L’erotismo è per sua natura ambiguo e lo sarà sempre (…) esso appartiene da un lato all’originaria  natura animale dell’uomo, la quale sopravvivrà fin quando l’uomo avrà un corpo animale; dall’altro l’erotismo è apparentato con le forme più alte dello spirito: ma fiorisce soltanto quando spirito e pulsione trovano il giusto accordo»

La libertà sessuale sta nel superare i limiti della non rappresentabilità. Il sesso femminile non è mai osceno e irrappresentabile, tale giudizio non è altro che il messaggio inconscio della matrigna gelosa verso la figlia che sbocciava.

Erotismo, ebrezza, follia, solo così la sessualità femminile può emanciparsi dalla castrazione materna.

Tutto questo riporta a un tentativo di elaborare la stessa identità ancestrale, onirica, uterina di un soggetto incompleto, incapace di sottrarsi ai poteri suggestivi e con-fusionali della madre e di “dio”.

La mela avvelenata

La mela avvelenata ci rimanda alla questione dell’inquinamento e del rifiuto, cioè la modalità di tossicità con cui la ragazza si ciba, rimanendo interiormente legata ad un cordone ombelicale psichico che l’avviluppa alla madre, lei sta avvelenando la sua esistenza, accumula aggressività, che rivolge contro se stessa in una miriade di atti mancati dettati dalla sua madre interiore e che rappresentano la punizione della madre verso la bambina che tenta di crescere diventando donna.

Quando si è in questa dinamica nevrotica capita di tutto alla figlia, incidenti d’auto, perdita di oggetti anche importanti, si attuano modi inconsci che fanno finire relazioni e si hanno comportamenti che attirano tutto il peggio che la vita può portare.

Infatti l’intento della regina non è quello di uccidere Biancaneve, altrimenti l’avrebbe fatto in un colpo solo ma quello di bloccarne la crescita, tenerla tutta per sé, farla restare bambina. Ma questo è impossibile perché non si possono bloccare gli impulsi, la madre non può, anche se ci prova, bloccare la figlia in quanto la figlia appartiene alla vita. La mela simboleggia la maturità sessuale e la nascita di una coscienza differente.

La mela avvelenata che la strega/madre fa mangiare a Biancaneve/figlia come atto di trasformazione ed entrata nel dolore, nel sonno profondo, nell’attesa che la coscienza si risvegli.

La mela avvelenata è l’entrata nel dolore, nell’aggressività e nella lotta da parte della figlia che per liberarsi delle catene e dal rapporto ambivalente con la madre dovrà percorrere un cammino interiore che la porterà ad essere amata da un principe.

La trasformazione da figlia a donna

La fiaba ci fa vedere che il dolore non è morte ma una fase di gestazione e di trasformazione interna in cui la donna passa dall’essere infantile e dipendente all’essere adulta, fase in cui si prepara alla relazione con la sua parte maschile che in questo caso è rappresentata dal senso di realtà.

Non c’è originalità se non come differenza dall’originario materno, il differenziarsi dall’origine crea distacco e inizialmente dolore, le difficoltà che affronta Biancaneve indicano le fasi della crescita contraddistinte dal dolore che queste comportano; proprio il dolore utilizzato come forza creativa e non come masochismo non permette la stagnazione e il blocco nei vari stadi di crescita.

La figlia, nel suo divenire donna, necessita del nutrimento e del nettare della vita che passa anche attraverso il nutrimento dei genitori ma, questo, non è l’unico anche se risulta essenziale nei primi anni di crescita.

Importantissima è la figura del padre, che può apportare un sano nutrimento e fungere da “Estrattore” verso la figlia intrappolata nell’utero materno, a patto che egli stesso sia stato capace di uscirvi a sua volta.

La figlia per diventare donna adulta deve poter assumersi appieno il suo potere femminile, la sua responsabilità nel mondo e per fare questo lei deve sentire il diritto di poter possedere il padre.

Abbandonando le pretese per ciò che non ha ricevuto dalla madre, la figlia per diventare donna adulta deve smettere di inseguire l’ideale materno cessare di rincorrere e manipolare, lamentarsi, servire e asservire.

Di contro, l’uomo deve liberarsi anch’esso dalla supremazia della matrigna, rifiutarsi di strapparle il cuore come metafora di asservimento, anzi dovrà scaldare ed accarezzare quel cuore e non svenderlo alle brame distruttive che la moglie ha verso la figlia.

Sensibilizzarsi alla preziosità della donna che sta sbocciando frutto anche del suo seme e al suo principio femminile presente anche in lui, mettendo la lucidità, la forza e il coraggio del principio maschile a servizio e a promozione del puro principio femminile, di cui individua e canalizza le potenzialità.

Il principe, l’Io maturo, obbliga la psiche femminile al risveglio, alla libertà e all’individuazione

 

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